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Manukafashion, la moda è “afroitaliana”

Manukafashion, la moda è “afroitaliana”

Frontiere (06/12/2015)
Storie da un mondo plurale

Una cooperativa nata dall’amicizia di tre giovani romane fa da ponte tra la moda africana e quella italiana. Con l’obiettivo di creare una filiera virtuosa nella sartoria migrante.

Manuela, Lisa e Valentina si sono conosciute nel 2006 all’università Tor Vergata, nell’ambito del master in Sviluppo economico e cooperazione internazionale. Dopo nove anni e diversi grandi viaggi l’amicizia ha dato il via ad una idea imprenditoriale condivisa. Una startup che faccia cooperazione, quella vera, attraverso la moda. “Molto spesso la cooperazione – raccontano le amiche – assume un carattere meramente assistenzialista. Crediamo invece che la cooperazione debba essere spinta all’imprenditorialità, cambiando l’assistenzialismo in valorizzazione delle risorse che ogni Paese possiede.  La nostra idea è creare nel tempo un modello di business che sia sostenibile e che abbia come obiettivo la giusta remunerazione di tutti i soggetti coinvolti nella catena produttiva”.

Manukafashion nasce nel 2011 come progetto di moda in Malawi, dove vivono Manuela, iniziatrice del progetto, ed Emmanuel, un sarto di Lilongwe. Quando Manuela torna a Roma nel 2013, coinvolge le due amiche e insieme decidono di far diventare Manukafashion una cooperativa di produzione e lavoro con sede a Roma.

Manukafashion si basa sulla creazione di prodotti tessili per la casa e accessori per la persona realizzati rigorosamente a mano, combinando un’ampia gamma di stoffe africane con varie tipologie di tessuti italiani. Ogni prodotto è un mix imprescindibile di un tessuto italiano (di solito tinta unita) e di uno africano.

A Roma il team sta intrecciando competenze e talenti di sarte e sarti provenienti dalle comunità migranti, offrendo così l’opportunità di formarsi e sviluppare le professionalità. Un passaparola virtuoso che ha portato le tre amiche a conoscere, ad esempio, Ilda, ucraina a Roma dal 2012 e “nostra prima sarta”. O Lamin e Faith, il primo dal Gambia e la seconda dalla Nigeria, conosciuti grazie ad una collaborazione avviata con lo sportello di San Giovanni a cui si rivolgono migranti e richiedenti asilo politico. “La scorsa primavera, abbiamo convocato tramite i centri di accoglienza alcuni sarti che nei loro paesi di provenienza esercitavano questa professione, e abbiamo chiesto loro di realizzare uno dei prodotti della nostra collezione. Al termine di questo ‘processo di selezione’ abbiamo individuato i due migliori lavori, quelli appunto di Lamin e Faith”. Nel frattempo Emmanuel continua a collaborare dal Malawi, dove Manukafashion intende sviluppare in futuro una parte della sua produzione, coinvolgendo anche altri sarti locali.

Del resto, il progetto è prima di tutto fondato sul networking. Uno studio dettagliato delle potenzialità imprenditoriali nel continente sta portando le tre fondatrici a confrontarsi con un mondo, quello del tessile africano, in continua evoluzione e ricco di spunti umani inaspettati. “Manukafashion è in contatto con produttori di stoffe basati prevalentemente in Africa occidentale e in Uganda: qui è attiva una collaborazione con una cooperativa che produce tessuti tye-die. La realizzazione di questi tessuti è affidata a donne disabili o affette da HIV-AIDS, dando loro la possibilità di acquisire le giuste competenze per divenire economicamente indipendenti. Grazie ad un recente viaggio in Ghana l’estate scorsa, siamo venute a contatto con una piccola realtà a conduzione familiare che realizza stoffe africane, con cui stiamo cercando di formalizzare i rapporti di fornitura”.

Il progetto è ambizioso, ma non spaventa: “Abbiamo fatto investimenti importanti come le foto professionali ed il sito, il prossimo investimento è l’acquisto di una macchina da cucire professionale da mettere a disposizione dei sarti che collaborano con noi. E finalmente l’incontro con il grande pubblico: evento natalizio il 12 dicembre presso l’Impact Hub Roma con l’obiettivo di presentare la collezione (il progetto pilota è di ben 100 prodotti) e finanziare la nuova macchina.

Gli obiettivi per il futuro sono chiari. In primis creare una catena di produzione stabile avvalendosi di fornitori selezionati sia in Africa che in Italia, alla continua ricerca della fusione perfetta. “Una catena di produzione stabile significa poter avere dei volumi stabili di produzione, creando da un lato prodotti tradizionali e replicabili, dall’altro garantendo un costante rinnovamento dei materiali per proporre sempre qualcosa di nuovo che sia anche esclusivo”. E poi le ambizioni di ogni startup: ampliare la rete di conoscenze e l’internazionalizzazione. Ma su questo punto il sentiero è segnato: alla sede romana verrà affiancata una in Malawi, dove tutto è nato da Emmanuel. Il primo sarto di Manukafashion, quando la startup era solo un sogno accarezzato da tre amiche.

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